“Languishing”: la nuova emozione del 2021

Non è burnout, non è depressione, non è una mancanza di speranza… ma allora che cos’è il languishing? Perché dobbiamo occuparcene e preoccuparcene? Scopriamo insieme l’emozione che domina il 2021

Premessa

Abbiamo imparato che, indipendentemente dal nome della patologia o dalle cause, anche di fronte a situazioni più “oggettive” e standardizzabili come un virus le persone reagiscono con modalità molto soggettive.

Tra il concetto di “sano” e quello di “malato” esistono tante situazioni intermedie e tanti modi per declinare questi concetti: ad esempio,  la persona contagiata dal virus, ma senza sintomi è tecnicamente malata, ma praticamente sana.

Non sono considerazioni banali perché il modo di concettualizzare, di catalogare i problemi condiziona e determina i comportamenti e gli atteggiamenti con sui si affrontano i problemi stessi, anche quelli psicologici.

Sin dall’inizio della pandemia infatti, una delle difficoltà maggiori è stata quella di spiegare la condizione psicologica diffusa nella popolazione. Caratterizzata da ampie fasce di persone non più sane ma ancora non pienamente “malate” in senso stretto.

Tra il benessere e la patologia in senso stretto c’è una vasta zona che, avvicinandosi al polo della “patologia”, si caratterizza per chiare situazioni di disagio e malessere psicologico.

In altri termini la psicopandemia che stiamo attraversando parallelamente alla pandemia, può essere rappresentata da un iceberg con la parte più piccola e più visibile caratterizzata da disturbi psichici più gravi e una parte molto più vasta di malessere e disagio psicologico, meno visibile ma non meno importante che se lasciata latente dentro di noi può portarci a gravi conseguenze.

Per diversi anni la ricerca si è occupata e ancora oggi si occupa di studiare il disagio psicologico sotto le categorie di “Psychological distress”, “disturbi da stress”, “disturbi dell’adattamento” ed è stato visto come le conseguenze di questa condizione, se protratte nel tempo, sono molto significative sulla salute psichica, su quella fisica e sui diversi ambiti della vita (famiglia, relazioni, lavoro, stili di vita).

Conseguenze documentate e importanti che hanno portato l’OMS e le Agenzie internazionali a raccomandare azioni e strategie, individuali e collettive, per aiutare le persone ad uscire da questa condizione.

Anche gli economisti se ne sono occupati perché si conoscono le ricadute negative sui costi sanitari e sociali nonché sulle attività economiche di questa situazione.

(Immagine di balarm.it)

Fatta questa premessa utile e doverosa, dobbiamo provare a posizionare il “languishing” fra quelle emozioni che non sono visibili sulla punta dell’iceberg, ma che sono ad un passo dal diventare disturbo se lasciate dentro di noi provando ad ignorarle, opprimerle e nasconderle.

Motivo per cui oggi occorre imparare a riconoscerla e a correggerla.

Focus sul termine languishing

Secondo il New York Times, l’emozione che ci accompagnerà per tutto il 2021 ha un nome: si chiama “languishing”. Il termine è stato coniato da un sociologo, Corey Keyes, colpito da quante persone non depresse non stessero comunque prosperando.

La sua ricerca rivela che le persone che tra dieci anni soffriranno di depressione e disturbi d’ansia non sono quelle che stanno sperimentando questi sintomi oggi. Sono quelle che oggi stanno ‘languendo’.

Ma qual è il pericolo insito in questo status emozionale? Secondo lo psicologo, è l’inconsapevolezza. “Non riesci a percepire te stesso scivolare lentamente nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza. E quando non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto né fare molto per aiutare te stesso”.

(Immagine di nativenewspots.com)

“Languishing” tradotto in italiano suona più o meno come “languire”. ”È un senso di stagnazione e di vuoto. Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”, questo è quanto descritto da Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania: ”È l’assenza di benessere.

Non hai sintomi di disagi psichici, ma non neanche sei il ritratto della salute mentale. Non funzioni al massimo delle tue capacità. Il ‘languishing’ spegne la tua motivazione e distrugge la tua capacità di concentrarti”, aggiunge.

Per Grant è importante dare un nome a questa condizione, riconoscerla e capire che non siamo soli, ma che, al contrario, è un qualcosa che in molti stanno sperimentando, che prendendone consapevolezza possiamo affrontarla sia con le nostre risorse, sia con quelle delle persone che ci sono vicine o facendoci aiutare da un esperto.

“In questi mesi ho sentito tante volte descrivere questa situazione da persone amiche, da persone che si sono rivolte a me per un aiuto professionale, da colleghe e colleghi che mi parlavano del loro lavoro, da tanti genitori o dagli stessi ragazzi.

Spesso le parole erano accompagnate da un senso di disperazione, da vergogna per una condizione vissuta come debolezza, ammissione di fragilità, rivelazione di una sorta di diversità negativa rispetto agli “altri”.

Sentimenti che vanno ascoltati e rispettati, ma corretti: star male psicologicamente è sempre segno di una attenzione che dobbiamo rivolgere verso noi stessi, è una presa di coscienza da cui partire, fondamentale per ogni cambiamento positivo.

Star male nella pandemia è una condizione diffusa e praticamente “normale” dal punto di vista statistico: ma una conseguenza “normale” non vuol dire giusta o ininfluente e neanche ineluttabile, ingestibile o irrisolvibile.

(Immagine di healthshots.com)

Esiste un antidoto al languishing?

Molto stanno facendo scienziati e medici per curare i sintomi fisici del long Covid. Nel frattempo però molte persone si trovano a fare i conti con le ripercussioni psicologiche.

Queste possono colpire duramente e a sorpresa, proprio mentre la paura dello scorso anno si solleva. “All’inizio non ho riconosciuto tutti i sintomi che avevamo in comune – scrive Grant-. Amici che mi dicevano di avere problemi a concentrarsi. Colleghi che, anche col vaccino all’orizzonte, non erano affatto eccitati per l’arrivo del 2021. E io che invece di balzare giù dal letto ogni mattina mi metto a giocare un’ora a Words with Friends”.

Un antidoto al “languishing” però c’è.

Prima di tutto, è necessario dare un nome a questa emozione e come già scritto prima bisogna capire che non siamo soli, ma che, al contrario, è un qualcosa che in molti stanno sperimentando.

Il NYT ricorda che la scorsa estate la giornalista Daphne K Lee ha twittato un’espressione usata in Cina che potrebbe tradursi con il “rimandare l’andare al letto per vendetta”. Sembra che fosse costume comune rimanere svegli a lungo durante la notte reclamando la libertà persa durante il giorno. Un comportamento che rivela una voglia di riprendere il controllo.

Tanti lo stavano sperimentando e allora tanto valeva dargli un nome. Lo stesso bisognerebbe fare per il “languishing”. Come possiamo combattere questa assenza di gioia, questa stasi, dunque? In inglese, c’è la parola “flow”, “flusso”/“fluire”, che potrebbe essere proprio l’arma giusta contro l’emozione del 2021.

Con questo termine si intende quello stato di abbandono piacevole che proviamo quando siamo completamente assorbiti da qualcosa, quel momento in cui perdiamo la cognizione del tempo, dello spazio.

Può essere un progetto a cui teniamo molto o una serie tv su Netflix: entrambi possono avere quel magico potere di trasportarci via. E di salvarci, seppure per un momento, dalla negatività.

(Immagine di inc.com)

L’ultimo consiglio è quello di fare attenzione a dedicare a noi stessi un tempo non frammentato. La pandemia ci ha costretti a cambiare mansione ogni dieci minuti, passando dal nostro lavoro ai nostri figli alla cura della casa in un batter d’occhio. Tutto questo favorisce il “languishing”.

Siamo noi ad avere il potere di dargli il colpo di grazia. Ma per farlo non possiamo ignorare la sua esistenza. Non esistono solo le malattie fisiche, ma anche quelle mentali. E questo è un qualcosa che, mentre ci accingiamo a vivere l’epoca postpandemica, dobbiamo assolutamente ricordare.

“Se non hai la depressione, non vuol dire che tu non stia soffrendo. Se non hai il burn out non vuol dire che tu non sia esaurito – conclude Grant -. Sapendo che molti di noi stanno ‘languendo’, possiamo finalmente iniziare a dare una voce a questa sommessa disperazione”.

(Immagine di moneycontrol.com)

Conoscerla, divenirne consapevoli, aiutarsi e farsi aiutare, avere fiducia nell’uscirne: sono questi gli ingredienti per affrontarla con successo.

Bisognerebbe sempre di più combattere il disagio psicologico e promuovere la salute psicologica.

Inoltre, aiutare le persone a passare dal “languire” al “fiorire”, sarebbe un bellissimo investimento sociale in cui ognuno può fare la sua parte.

A cura di Laura Imperato

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