Nutriscore: facciamo il punto

Nutrizionista seduto alla scrivania con il camice
Dott.Pasquale Napolitano

Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere la possibilità di introduzione di un metodo per rendere più consapevole il consumatore riguardo le caratteristiche di ciò che consuma: il nutriscore.

Cosa prevede tale metodo? Il riportare in etichetta o comunque sul packaging del prodotto un’etichetta la quale fornisce un punteggio nutrizionale grazie ad una sorta di semaforo composto da cinque spazi con lettere e colori (A verde, B verde chiaro, C giallo, D arancione, E rosso).

Il punteggio aiuta a dividere i prodotti in cinque categorie, attribuendo un punteggio in base alla quantità di nutrienti per 100g di prodotto distinguendoli positivamente in base al contenuto di frutta, verdura, frutta secca, fibre e proteine oppure negativamente in base al contenuto di grassi saturi, zucchero, sodio e calorie.

La polemica

Ovviamente una semplificazione di tale tipo ha fatto storcere il naso alle varie associazioni di categoria e dei produttori dell’agroalimentare lamentando una discriminazione dei prodotti come il grana padano, il parmigiano, il prosciutto e l’olio extravergine.

Diciamo che in questo senso il nutriscore è stato travisato nel suo significato: quella codifica non significa che un prodotto con la lettera C oppure E siano dannosi o spazzatura, ma che semplicemente sono ricchi in nutrienti a cui prestare attenzione e quindi da usare con parsimonia.

(Immagine di VMTfood.be)

Dall’altro lato capisco che la stragrande maggioranza dei consumatori guardando al colore penserà che il ‘’rosso’’ sia da evitare ma basterebbe spiegare il funzionamento e l’intento di tale classificazione anziché biasimarne la volontà di utilizzo non volendo assolutamente nessuna indicazione sugli alimenti.

Il Codacons auspicherebbe un incentivo alla lettura delle indicazioni nutrizionali in etichetta così da far capire le quantità giuste da consumare a seconda del prodotto.

Non è forse questo lo scopo del nutriscore? Come si può pretendere che la popolazione capisca cosa siano i macronutrienti suddividendoli altresì in grassi saturi, polinsaturi, monoinsauri oppure in carboidrati e zuccheri o sale oppure sodio?

E’ necessaria, a mio avviso, una codifica semplificata degli alimenti che si possono mangiare in quantità libera da quelli che si possono consumare con moderazione.

Facciamo un esempio

Facciamo l’esempio dell’olio extravergine: certo è salutare ed è capostipite della dieta mediterranea ma è sempre un grasso che apporta per ogni cucchiaino (5g) ben 45 kcal (900 per 100g); va usato quindi per l’appunto a cucchiaini e non a mestoli perché tanto fa bene.

Tale considerazione vale per tutti gli altri prodotti che a detta delle associazioni sarebbero minacciati dal nutriscore; sono prodotti sani e che possono essere consumati ma sempre con moderazione perché ricchi in sodio (prosciutto) e grassi (formaggi stagionati).

Di certo però non posso non biasimare la scelta di assegnare un punteggio positivo alle bevande edulcorate le quali hanno sì zero zuccheri ma dicerto non possono essere considerate salutari.

(Immagine di AgriFoodToday.it)

Alla luce di tutto questo è chiaro che non posso appellare negativamente un sistema che mette in guardia la popolazione nel limitare il consumo di alimenti eccessivamente ricchi in determinati nutrienti.

Tutto sta nel far capire che si tratta di punteggi sull’uso e non un incentivo a non usare determinati alimenti. Quella lettera e quel colore dovrebbero essere un monito per il consumatore dicendogli: ‘’occhio che questo alimento se consumato in eccesso ti potrebbe creare danni’’ magari indicando di fianco anche la porzione da consumare.

Non si può, come vorrebbero le associazioni di categoria, lasciare l’abuso di zuccheri e grassi alla discrezione della popolazione solo perché si teme una flessione delle vendite.

L’alternativa: etichettatura PACE (Physical Activity Calorie Equivalent)

Questo tipo di etichettatura prevede di riportare in etichetta il contenuto calorico insieme all’indicazione relativa ai minuti di camminata a passo svelto o corsa necessari a consumare le calorie assunte con quell’alimento.

(Immagine di DaylyMail.co.uk)

Per valutare l’efficacia di questo sistema, i ricercatori hanno analizzato 14 studi che avevano confrontato il sistema PACE con l’etichettatura tradizionale o con l’etichettatura priva di informazioni di questo tipo.

In base ai risultati, il modello PACE influirebbe significativamente sulle scelte di acquisto in favore dei prodotti meno calorici, determinando una riduzione di circa 65 kcal a pasto, per un totale giornaliero di 195 kcal ‘risparmiate’ (considerando 3 pasti e 2 spuntini).

Secondo gli autori dello studio, infatti, molte persone non capirebbero il reale impatto dei valori nutrizionali attualmente riportati in etichetta sul bilancio energetico, mentre le indicazioni sull’attività fisica potrebbero essere più efficaci nel ridurre i consumi ed incentivare l’attività fisica regolare1.

In conclusione

Checché ne dicano i produttori di eccellenze agroalimentari, sulla base della tanto amata e decantata dieta mediterranea la quale di certo non prevede un abuso di olio, di formaggi stagionati o prosciutto ma un parsimonioso utilizzo di questi in quanto alimenti pregiati – ricordo che la dieta mediterranea è una dieta ‘povera’ – è necessario educare il consumatore a fare scelte più salutari evitando l’eccesso calorico. Non è un caso se l’obesità sta dilagando se si considera che si mangia tanto e si consuma poco in attività fisica.

1Daley, A., McGee, E., Bayliss, S., Coombe, A., & Parretti, H. (2019). The effects of physical activity calorie equivalent food labelling to reduce food selection and consumption: systematic review and meta-analysis of randomised controlled studies. Journal of Epidemiology and Community Health.

Biglietto da visita della nutrizionista
Studio di dietetica e nutrizione umana

A cura del Dott.Pasquale Napolitano

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