Dirò cosa mi hanno fatto a Dio, gli dirò tutto – bambino siriano, 3 anni.
Da vivi non riempiono più gli spazi televisivi riservati all’informazione e neanche quelli della carta stampata. Ormai non abbiamo abbastanza tempo o voglia di occuparcene.
Li citiamo qui e lì, tra un DPCM e una zona rossa e soltanto quando smettono di respirare.
Sono i moderni figli di un Dio minore, sono i “diversi” del nuovo millennio, sono quell’argomento scomodo che fa alzare la voce a tavola, che scuote gli equilibri di una conversazione, che costringe le persone a mostrarsi per ciò che sono, ad uscire allo scoperto.
Quell’argomento che una volta venuto fuori, non puoi più tirarti indietro e gli equilibri saltano, le amicizie si infrangono, le alte opinioni che abbiamo l’uno dell’altro crollano: sono i migranti.
Quelli che ci fanno scuotere la testa e sospirare tra un boccone e l’altro, quelli che “ah però, ma sono in forma!”, quelli che “potrebbero starsene a casa loro”, quelli che “ma se hanno i cellulari non sono mica poveri”, quelli che “non fuggono dalle guerre”, quelli che “io non sono razzista, ma…”, quelli che “poverini, mi dispiace, ma non possiamo mica aiutarli tutti?”.
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Esseri umani sulla nostra bocca, nei nostri discorsi, nelle nostre riflessioni, nelle nostre conversazioni infarcite di nozioni di politca internazionale, storia e strategia coloniale che ci fanno sentire tanto intelligenti, tanto superiori al problema, tanto idonei a risolvere il più grande ed ininterrotto dramma sociale del pianeta.
Fateci caso. Non se ne parla mai per prevenire, eppure il problema non è certo recente! Com’è possibile, poi, che tanti abbiano qualcosa da dire sull’argomento, tanti ritengano di sapere esattamente cosa andrebbe fatto e quando, ma nessuno riesca a trovare una soluzione concreta?
E intanto loro annegano
E intanto loro annegano. Muoiono di stenti e di sfinimento. Muoiono per vivere. E il Mediterraneo si tinge di rosso, diventando la più grande fossa comune.
E a noi cosa importa?
Noi nel Mediterraneo dobbiamo fare il bagno, non abbiamo tempo di preoccuparcene. Noi nel Mediterraneo peschiamo quel delizioso pesce che serviamo ai barbeque o che gustiamo sulle patinate terrazze di ristoranti chic e ne abbiamo il diritto no?
Lavoriamo tutto l’anno per permetterci quella spigola saporita a 40 € al piatto! Noi ne abbiamo diritto! Non ci vengano a fare la morale! Non tentino di farci sentire in colpa! Mica è colpa nostra se siamo nella parte giusta del mondo?
.Non è mica colpa nostra se siamo i discendenti degli oppressori e non degli oppressi?! E intanto, retorica e sarcasmo a parte, sono deceduti altri sei disperati. Il gommone col quale stavano tentando la traversata del mare è affondato e in centoventi sono finiti in mare, in balia delle onde.
L’Ong spagnola Open Arms ha prestato loro soccorso, ma ciononostante, i volontari nulla hanno potuto fare per impedire la morte di sei di loro.
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Uno, in particolare, dovrebbe smuovere le coscienze di tutti noi. Dovrebbe bastare per farci superare a pié pari ogni sciocco chiacchiericcio, ogni inutile analisi postuma: il piccolo Joseph.
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Aveva sei mesi Joseph ed è deceduto tra le braccia dei volontari dell’Open Arms. Non ce l’ha fatta ad aspettare i soccorsi, eppure è stato forte. Era in mare da circa due giorni e veniva dalla Guinea con la sua mamma.
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E allora se tutto questo non smuove le nostre coscienze e non ci commuove più di (o almeno tanto quanto) un cagnolino abbandonato, le nostre vite non hanno più valore di quella di un paramecio e questo virus è forse quella temuta profezia Maya che giunge un po’ in ritardo a scuotere il genere umano e a ricordargli che l’unica cosa che conta davvero è il diritto alla vita. Senza se e senza ma.
Articolo a cura di Luana Fusco
(Foto di copertina di Marco Sestini)
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