Lockdown, che danni!!!

Sono Vincenzo Balzano, Ispettore Principale, Consulente Finanziario e Assicurativo per Alleanza Assicurazione Spa

Lockdown, per Goldman Sachs in Italia i danni economici più ampi. Male anche India e Cina

Italia, India e Cina, saranno i tre Paesi più colpiti economicamente dal blocco delle attività dettati dalle misure anti-contagio: è quanto afferma un’analisi condotta da Goldman Sachs secondo la quale il Pil di questi tre Paesi calerà del 25% nel mese di aprile contrassegnato dal lockdown.

Il colpo sulla produzione, a livello globale, sarebbe invece del 17%.

Goldman Sachs precisa che il dato sul secondo trimestre, nel complesso, dovrebbe essere migliore di quello del solo mese di aprile, in quanto ci si attende una progressiva riapertura delle attività economiche.

L’analisi della banca d’affari si basa su due elementi.

  • Il primo è costituito dalle stime preliminari sul Pil già diffuse dalle autorità statistiche di Canada, Francia, Corea del Sud e Cina.
  • Il secondo, più articolato, si fonda su un “indice di lockdown” che punta ad esprimere il livello di chiusura raggiunto da ciascuna delle economie osservate da Goldman Sachs.

Confrontando i due elementi, le previsioni sul Pil di alcuni paesi con i rispettivi livelli di lockdown, gli analisti hanno ipotizzato in modo approssimativo (per loro stessa ammissione) quale potrebbe essere l’andamento del Pil ad Aprile anche per gli altri Paesi.

Gli stati che risulterebbero più colpiti economicamente sulla base dell’intensità delle misure anti-contagio adottate.

Le economie meno colpite e le più colpite

Fra le grandi economie mondiali risulterebbero meno colpite (ma pur sempre con un “colpo” del -14% circa) Corea del Sud e Giappone, seguite da gli Usa (-17%). 

Sul versante opposto, invece, l’impatto del lockdown sarebbe estremamente forte non solo in Italia, India e Cina, ma anche in Spagna e in Francia.

La cosa peggiore, in situazioni come quella che stiamo vivendo, è che non ci si accorge realmente di cosa stia accadendo attorno a noi.

È il carattere ontologico, qualificante e catalizzante della paura: assorbe tutto, concentra tutto, dissimula tutto. Diviene il tutto. Ognuno di noi, ormai, conosce ogni minimo particolare noto del coronavirus. Discetta come un virologo di chiara fama, snocciola dati e sintomi: ma non si rende conto che, al netto dei lockdowns globali, la vita altrove va avanti. E quell’altrove riguarda, ad esempio, i mercati. .

Il mercato è talmente impazzito e falsamente rassicurato dalla delirante pioggia di liquidità della Fed da non aver rimandato alcun segnale al riguardo, se non nel sottosuolo che agita solo gli addetti ai lavori. 

Inoltre, stando a calcoli sempre di Goldman Sachs, nei prossimi sei mesi il controvalore di bond che potrebbero migrare verso il basso dello status junk e fare compagnia ai 149 miliardi già precipitati equivale a un ammontare nozionale di altri 555 miliardi di dollari. Ben più del triplo. E parliamo di sei mesi, non di sei anni. Ovvero, subito prima del voto per le presidenziali Usa. 

Avete capito perché la Fed il 20 marzo scorso si è scapicollata ad ampliare la platea del collaterale eligibile nei suoi programmi di acquisto, includendo in fretta e furia anche i bond corporate?  

Le stesse aziende che vedono i loro rating stracciati come carta di un giornale vecchio stanno correndo ai ripari nella maniera più drastica possibile: estinguendo le loro linee di credito revolving con le banche a ritmi record, spostando cioè i prestiti che hanno ottenuto dai conti delle banche creditrici ai loro bilanci.

Un bel cuscinetto di salvaguardia. Ma anche un chiaro segnale di allarme, la proverbiale bandiera rossa issata dal bagnino e che sconsiglia di entrare in acqua.

La FED e le banche in allarme

Solo nella settimana conclusasi  ad inizio aprile, le aziende Usa hanno ritirato liquidità per un controvalore di quasi 100 miliardi. Insomma, liquidità emergenziale.

In un mondo in cui la Fed sta già alluvionando un’altra volta il sistema, i principali soggetti di mercati sono costretti a mosse estreme simili.

Quanto è profondo il baratro di insolvenza che l’abuso di azzardo morale post-2008 e post-Qe sistemico ha scavato nei mercati finanziari? Da inizio anno, il totale di ricorso al cosiddetto drawdown delle linee di credito ha già toccato quota 208 miliardi.

E anche qui, non pensiate che si tratti della scelta obbligata di PMI altrimenti destinate al fallimento: la capofila di questa pratica è stata infatti Boeing, la quale a fine marzo ha prosciugato gli oltre 12 miliardi di linea di credito concessagli dalle banche per far fronte alla crisi emersa dopo gli incidenti legati ai software difettosi. Poi, una cascata. Compresa Ford, la quale è ricorda al drawdown dopo il downgrade del rating.

Insomma, la corporate America di cui Donald Trump si fa tanto vanto e che a detta di tutti era assolutamente in forma smagliante fino a non più tardi di inizio Febbraio, ora è alla canna del gas.

E il peggio, come mostra lo studio di Goldman Sachs, potrebbe essere davanti a noi, non dietro le nostre spalle. Ma nessuno si è accorto.

Tutto è accaduto in silenzio e senza scossoni, per il semplice fatto che la pandemia ha assuefatto le nostre menti e ci ha convinto che l’apocalisse sia alle porte: quindi, pare normale che l’oro schizzi alle stelle nonostante la Fed stia stampando come non mai, che gli indici di Borsa segnino scostamenti record da un giorno con l’altro, che le aziende ricorrano a mezzucci per finanziarsi in qualche modo, che il mercato interbancario continui a inviare segnali di tensione, nonostante la liquidità piova dal cielo come in un temporale di fine estate.

Il primo tempo di una crisi economica pari a quella del 2008

Abbiamo vissuto il primo tempo di un altro 2008 e quasi non ce ne siamo accorti, convinti come siamo che tutto ciò che di brutto sta accadendo in ambito economico e finanziario sia unicamente ascrivibile al “cigno nero” del coronavirus e non al comportamento criminale messo in pratica a livello globale dal 2011 in poi, fra quattro cicli di Qe Abenomics, tagli dei requisiti minimi dei cinesi e Whatever it takes.

La festa è finita? No, perché per finanziare il debito passato, le corporations stanno emettendo ancora di più, con il badile, perché le Banche centrali hanno riaperto la stamperia e quindi si va avanti con la partita di giro per finanziarsi a debito e calciare ancora un po’ in avanti il barattolo.

Non cambia nulla, ormai il sistema è rotto e sa operare soltanto in questo modo. Anche perché la pandemia sta offrendo una musica di sottofondo perfetta all’operazione, garantendo la cortina fumogena necessaria a mosse e strategie che altrimenti avrebbero sortito l’effetto di una bomba a mano lanciata in uno stagno.

Ford che subisce un downgrade insieme a Kraft Heinz, Boeing che opera un drawdown totale su 12 miliardi di linee di credito per il terrore di un imminente credit crunch bancario in stile 2008.

E giornali e televisioni, mute. Tutte concentrate a reti unificate sulla nuova liturgia laica della paura, la conferenza stampa della Protezione civile con il suo patibolare snocciolio di contabilità sanitaria rispetto a un agognato ritorno alla normalità. 

Brusco risveglio alla fine del lockdown

Che brusco risveglio ci attenderà, dopo il lockdown. Ma – anche in questo caso – il copione pare stato scritto in maniera perfetta. Saremo infatti troppo felici di poter tornare a fare l’aperitivo con gli amici o rinchiuderci all’Ikea il sabato pomeriggio per renderci conto dell’ammontare che avrà, per l’ennesima volta, il conto che lorsignori ci consegneranno da pagare, quando tutto sarà finito.

Negli Usa come in Giappone come in Europa. Stavolta, però, davvero nulla sarà più come prima. Perché l’esperimento di controllo sociale sta riuscendo troppo bene per essere abbandonato, prepariamoci a una vita scadenzata dalle emergenze. Cicliche. Ma questo, già lo sapete. O, quantomeno, io è da un po’ che vi metto in guardia. 

Articolo a cura di Vincenzo Balzano

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