Smart Working? No, South Working!

Lo scenario apocalittico che caratterizza questo mese è quello delle grandi città deserte: pochi turisti in giro, uffici svuotati e di conseguenza bar senza avventori, ristoranti dove era necessario prenotare per trovare posto ed ora sì e no aperti, tanti appartamenti senza affittuari. Tutto questo potrebbe definirsi un day after da lockdown (oltre che da vacanze estive) oppure un fenomeno sociale ed economico dal nome “South Working

Che cos’è?

South Working è il trasferimento/la fuga dei lavoratori e degli studenti fuori sede rientrati subito dopo la riapertura con la fase 3 nei luoghi di origine e lì rimasti dopo aver riabbracciato genitori e affetti dopo i 70 giorni di quarantena.

Quest’ultimi continuano a lavorare da casa, hanno disdetto gli affitti, restituito le chiavi con tutto quello che comporta sul territorio: bar e ristoranti senza i clienti fissi (e senza gli occasionali turisti), palestre e negozi.

(Immagine di radiopopolare.it)

Sarà destinato a durare?

Se all’inizio, quello del south working sembrava un fenomeno momentaneo, legato appunto alla pandemia e il lockdown, è chiaro che ora potrebbe prolungarsi di molto considerando che sono ancora parecchi i lavoratori che operano in smart working, così come gli studenti che svolgono esami online.

La conseguenza di tutta questa situazione è una crisi economica per quelle città (come ad esempio Milano) che avevano costruito un’economia intorno ai fuori sede. Infatti, secondo una stima de Il Sole-24Ore, in 20 anni Milano ha guadagnato circa 100mila residenti provenienti da altre regioni d’Italia, soprattutto dal Mezzogiorno, e una parte consistente di questi, con la pandemia, è rientrata nella propria terra, continuando a lavorare online, ma non consumando più a Milano.

In questo momento, è difficile calcolare una perdita media del comparto in città, perché ogni quartiere fa storia a sé”, ha spiegato a Business of Milan Carlo Squeri, segretario generale di Epam-Confcommercio. “In pieno centro, la perdita di fatturato per alcuni locali si può misurare nell’ordine del 75% e la situazione peggiore è legata alle attività diurne, proprio perché gli uffici sono chiusi e i dipendenti non escono a pranzo”.

Che ne sarà delle città del settentrione?

Le prospettive? Incerte, si prevede un ritorno alla normalità, ma graduale e non ai livelli precedenti. Questo perché lo strumento dello smart working, che già esisteva, sta conoscendo un boom con il quale ogni ufficio farà i conti. 

Una modalità di lavoro, quella del ‘remoto’, che da “concessione” di qualche azienda smart è diventata poi giocoforza oltre che l’unico modo per far sopravvivere molte imprese in epoca di Lockdown. 

“Milano era una città nella quale circolavano tre milioni di persone al giorno, il doppio dei suoi abitanti”, ricorda il segretario di Epam. 

(Immagine di ilgiorno.it)

Un ritorno alle origini

Oggi però la città è dei milanesi, non dei turisti e non degli uomini d’affari. E nemmeno degli studenti, come appare chiaramente per chi si trova a frequentare quartieri come Città Studi.

Un’assenza, quella dei fuori sede, che colpisce il settore della ristorazione non solo per quanto riguarda i mancati incassi, ma anche per l’offerta di lavoro, visto che lo studente che condivideva un appartamento in affitto era un target ideale a cui attingere per ristoranti, bar e locali notturni come collaboratore più o meno occasionale.

Quello che sta capitando in Italia, in particolare a Milano, non è ovviamente un fenomeno isolato, ma riguarda anche tutti quei lavoratori e studenti fuori sede e fuori Italia che stanno studiando e lavorando da remoto non più a Parigi, Londra, Barcellona ma da casa con le proprie famiglie.

(Immagine di investireoggi.it)

Un fenomeno in estensione

Tutto ciò, come già specificato, non riguarda solo l’italia: The Economist a maggio ha pubblicato un’inchiesta, “Working life has entered a new era”, in cui si parlava di BC (before coronavirus, prima del coronavirus) e AD (after domestication, dopo il Lockdown). 

Secondo l’autore, non sarà facile tornare nell’era prima del coronavirus: i datori di lavoro risparmiano sui costi, i lavoratori apprezzano il famoso ed agognato work life balance, ovvero l’equilibrio vita privata/lavoro.

Il National Bureau of Economic Reserch, da mesi studia gli effetti della pandemia sul futuro delle nostre vite e ha dedicato a fine giugno un report in cui analizza, sul fronte Usa, il futuro dello smart working prevedendolo un cambiamento permanente per il 40% delle imprese.

Sarà davvero così? Lo scopriremo solo vivendo.

(Immagine di facebook.com)

E se lo Smart Working fosse una manovra di rilancio di città spopolate dei propri talenti? Se fosse un impegno di sostenibilità?

Intanto, se al Nord si piange per questo fenomeno, al Sud si sorride: i cervelli in fuga sono rientrati e possono diventare un motore economico importante.

Se la rinascita del meridione passasse per il lavoro agile? Beh, onore al merito ad un gruppo di giovani di Palermo per essersi soffermati su questa brillante domanda, infatti sono stati proprio loro ad aver studiato ed etichettato questo fenomeno con il nome di “South Working” = lavorare da sud (ma anche studiare, è lo stesso).

Hanno anche ideato un’organizzazione no-profit che è un progetto di Global Shapers Palermo Hub, per studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare dal Sud Italia, con i suoi pro e contro, che potesse anche aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro e formulare delle proposte di policy in questo campo.

Gli obiettivi di South Working

L’obiettivo di lungo termine, dicono, è quello di stimolare l’economia del Sud, aumentare la coesione territoriale tra le varie regioni d’Italia e d’Europa e creare un terreno fertile per le innovazioni e la crescita al Sud.

La premessa è che i problemi del Meridione erano noti anche prima del 2020, dalla recessione economica alla “fuga dei cervelli”. Questo periodo di emergenza sanitaria ha costretto il mondo del lavoro a livello globale a fare i conti con il lavoro a distanza e il lavoro agile.

E se qualcosa di buono può essere tratto da questa tragica crisi, per quanto riguarda questi ambiti nasce forse la possibilità, per i territori del Sud, di accogliere lavoratori di aziende basate altrove, stabilmente in smart working.

Il lavoro smart da Sud è utopia o possibilità concreta?

Difficile dire cosa accadrà, ma nel mentre forse occorrerà iniziare a rifletterci e dare il tempo alle aziende di capire l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro.

Sicuramente urge avere un’inversione di rotta ed interrompere l’esodo. Chi fugge deve tornare ad avere la necessaria fiducia per investire risorse economiche ed umane nel territorio di origine.

Certamente South Working rappresenta una sorta di finestra inaspettata che muta una prospettiva di vita da emigrati che sembrava ormai ineluttabile, sulla quale non si può far altro che puntare e riporre speranza.

A cura di Laura Imperato

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